Ed eccoci qui in terra cambogiana a sfrecciare sulle sue strade che lasciano intravedere alcune differenze rispetto a quelle a noi già note. Passato il confine proseguiamo sull’Asian Highway che qui si chiama semplicemente “1”, e non AH1 come in Vietnam. Notiamo sin dall’inizio innumerevoli cartelloni pubblicitari con su scritto “People’s party”, ogni pochi chilometri si susseguono questi messaggi di propaganda di partito, forse anche qui l’unico ma non lo sappiamo e non ce ne preoccupiamo più di tanto. In aggiunta notiamo che il traffico è pressoché inesistente, ci sentiamo quasi soli inizialmente ripensando all’inquinante e inquietante compagnia avuta per quasi due settimane in Vietnam, ma macinando chilometri su chilometri iniziamo a goderci la corsia “riservata” a noi e ci rilassiamo pensando più ad ammirare il panorama intorno che a guardar dritto onde evitare di tamponare o evitare qualche altro mezzo. La terra è di un profondo rosso che tende al marrone, rimanda a sfumature argillose e lascia pensare d’essere molto fertile, ma più procediamo e più iniziamo a intravedere miseria e povertà intorno a noi. Conoscenza questa che si approfondirà durante la nostra breve permanenza in Cambogia.
Abbiamo attraversato il confine senza avere alcun Rial cambogiano, giusto alcuni dollari avanzati al confine per pagare il visto. Per cui ci ritroviamo alla ricerca di una banca per prelevare almeno il minimo indispensabile per la giornata, fare benzina e pagarci qualcosa da mangiare e da bere nelle pause. Attraversiamo il nulla, paesi fantasma si susseguono uno dietro l’altro ma finalmente incrociamo il paese di Krong Svay Rieng, vedo molte banche e decido di fermarmi a provare a prelevare. Ma non c’è niente da fare, perdiamo quasi un’ora nel mio tentativo inutile e anche sotto il consiglio di alcuni locali tutti gli sportelli automatici non funzionano, mi tocca cambiare dei dollari. Successivamente scopriremo che il dollaro è quasi ben accetto ovunque nel paese, praticamente quanto la valuta nazionale nelle zone estremamente turistiche: per acquisti in zone rurali e mercati dimenticati da Dio la moneta locale è l’unica utilizzabile e spendibile.
Fatto sta che con pochi Rial in tasca ci avviciniamo pian piano a Phnom Penh, nuvoloni neri come la pece controvento si avvicinano improvvisamente verso di noi e ci obbligano ad indossare i vestiti impermeabili e a procedere lentamente per molti chilometri sotto l’acquazzone. Giungiamo finalmente a destinazione senza mai toglierci i veri e propri “pezzi di plastica” che indossiamo, la strada poco prima della capitale è un disastro, piena di fango e di pozzanghere che ci fa penare al nostro arrivo nella capitale.
Andiamo alla ricerca di una guest house o di un letto economico e, anche se siamo in un paese diverso, la nostra tattica non cambia: giriamo in un paio di posti diversi e alla fine scegliamo una comoda e spaziosa camera di una guest house per soli 15$ da dividerci in due. Ci riposiamo per placare le fatiche della lunga giornata e ci fiondiamo a prelevare e a soddisfare i nostri stomaci brontolanti. Scegliamo un ristorantino tipico e proviamo una nuova cucina che ci ispira sin da subito, io prendo un piatto di riso con mango e pollo, il mio compare il Lok Lak (cubetti di carne con verdure) con aggiunta di un uovo, squisitissimo. Andiamo a dormire con l’idea che la nostra permanenza a Phnom Penh sarà molto breve, giusto un giorno per visitare ciò che di meglio può offrire per poi scappare immediatamente verso la meta più attesa di tutto il viaggio: Siem Reap e la sua fantastica Angkor.
Il Compleanno di Cristian a Phnom Penh
Il diario di bordo segna “Day 25”, ma il calendario ci riporta a considerare i giorni che trascorrono traslandoci in una dimensione che il viaggio ci sta facendo dimenticare: è il compleanno di Cristian! Mi sveglio e inizio a picchiare amichevolmente il mio compare, oramai siamo assieme da quasi un mese, ventiquattro ore su ventiquattro e proviamo un sentimento bipolare reciproco di odi et amo. Che bello festeggiare un compleanno in una situazione di questo tipo! Vivere un’esperienza come questa che stiamo affrontando aiuta nell’avviare alcune riflessioni e considerazioni sulla propria vita, Cristian non se le lascerà scappare!
Usciamo dalla guesthouse e decidiamo di lasciar riposare le nostre moto per una giornata intera, ora ci servono le gambe per girare in lungo e in largo per la città. Iniziamo molto male, fa caldo e non siamo molto abituati a queste temperature. Il viaggio in moto rinfresca sempre anche a velocità piuttosto basse, in aggiunta la breve tappa ad Ho Chi Minh City ci graziò con una giornata piuttosto mite e gradevole. Ci facciamo forza e ci armiamo di tanta acqua, iniziamo a camminare e ad ammirare pagode e templi da forme abbastanza diverse rispetto a quelle vietnamite: esse sono senza dubbio costruite in maniera più spigolosa e con colori molto accesi e contrastanti. Proseguiamo avvicinandoci al Mekong, ci perdiamo nelle sue vie chiuse per lavori in corso e verso pranzo ci ritroviamo in un mercato centrale della città, molto vivo e attivo che ci invoglia a fermarci per avere un pasto e ripararci da un acquazzone improvviso. Ci immergiamo nell’atmosfera magica che solo i mercati riescono a darti, quella che ti fa apprezzare i diversi modi di lavorare locali e notiamo, non senza stupore, che alcuni occidentali che lavorano qui pranzano vicino a noi.
Aspettiamo del tempo prima di muoverci a causa di un violento acquazzone e ci avviamo al National Museum, il quale non ci lascia affatto stupefatti. Non usufruiamo mai di una guida o di audio guide e questo sicuramente riduce la nostra percezione di ciò che visitiamo, ma molto sinceramente questo museo merita poco. Facciamo giusto qualche foto ad alcuni vasi e statue di terracotta millenarie che risiedono qui grazie al mito di Angkor, semplicemente spostate dal loro luogo d’origine per creare vari punti turistici in giro per il Paese. Proseguiamo poi verso il Royal Palace, proprio durante la sua riapertura pomeridiana e l’accumulo di tutti i turisti arrivati lì poco prima di noi. Lascio a Cristian l’onere dell’acquisto dei biglietti ed attendo seduto su di una panchina ad ammirare tutte le varie scolaresche cambogiane presenti, sicuramente il Palazzo reale è uno dei siti più importanti della Cambogia. Procediamo ed entriamo in questa residenza neanche troppo grande accompagnati da grandi nuvoloni che inquietano i nostri spiriti, la nuvoletta maledetta di Fantozzi ci perseguita e tormenta, diventerà una costante, ma a tratti siamo contenti di queste ventate di freschezza inaspettate che ci fanno ricordare di essere ai tropici. Camminiamo alla rinfusa intorno ai vari edifici presenti nel perimetro, continuiamo a lasciarci affascinare dalle strutture diverse delle pagode cambogiane, più che altro dai loro colori accesi e allegri. Scattiamo varie foto di rito e video e terminiamo il giro sotto la pioggia ammirando la Silver Pagoda, ubicata all’incirca al termine del percorso.
Torniamo alla guest house verso metà pomeriggio per rinfrescarci e riposarci un poco, terminata la pennichella ci dirigiamo verso il mercato turistico principale della città. Arrivati in loco, come ogni volta, ci lasciamo trafiggere dalla bellezza del mercato locale. Quest’ultimo, anche se dedito più che altro alla vendita al dettaglio di prodotti turistici, ci lascia molto stupefatti rispetto agli altri mercati finora visitati. Le viuzze all’interno sono strette e non ci lasciano il tempo di focalizzare e renderci conto di dove siamo, ogni metro cambia la bancarella e dal lato opposto nell’altro senso passa qualcuno a darci (o forse siamo noi) una spallata. Finalmente, come in un piazzale di un villaggio antico, arriviamo nel bel mezzo del mercato e da lì abbiamo pieno orientamento; scegliamo alcune bancarelle che vendono braccialetti e bandierine da attaccare agli zaini. Facciamo i nostri dovuti acquisti e poco prima che rivenga a piovere riusciamo a tornare a casa, gli zaini aspettano di essere molestati con colla e toppe/bandiere di paesi da noi visitati. Il mio, senza contare la toppa “europea” che equivale ai vari paesi visitati vicino a casa, arriva a 12 grazie ai nuovi inserimenti di Cambogia – Thailandia – Laos.
Finito il lavoro da artisti è tempo di iniziare a pensare che cosa fare durante la serata, il giorno dopo ci aspetta il viaggio verso Siem Reap ma abbiamo voglia (e bisogno) di festeggiare un poco per il compleanno di Cristian. Mangiamo un boccone nello stesso ristorante della sera prima e successivamente ci dirigiamo verso il centro dei divertimenti cittadino. Una volta arrivati ci accorgiamo di quanto sia presto per l’apertura dei locali, per cui per rimediare al nostro anticipo ammazziamo il tempo facendo qualche partita di biliardo in un bar e, come ogni volta dall’inizio del viaggio, riesco a battere ripetutamente il mio compare, anche nel giorno del suo compleanno che dovrebbe essere il suo giorno fortunato.
Finite le varie partite ci inoltriamo nella discoteca prescelta, ma subito cambiamo idea in quanto essa è veramente piccola. Allora entriamo in un’altra lì vicino, questa è grande e già sufficientemente popolata, ma ci rendiamo subito conto che ci sono più prostitute che normali frequentatori. Ci buttiamo nella mischia e iniziamo a ballare, Cri ovviamente è in una delle sue serate magiche: balla, si agita, inizia a sudare e a fare versi strani, balla latino anche se la base musicale consiglia movenze diverse, tira spallate e conversa in arabo con un gruppo di coreani. Ci divertiamo per circa mezz’oretta, stupendoci del fatto che le suddette prostitute non si siano mosse di neanche un centimetro, ferme al bancone del bar aspettano che siano i clienti a fare la prima mossa. Stufi dell’ambiente ce ne andiamo prima del previsto, Cristian ne è sicuro anche dopo le mie ripetute richieste. Quindi è ora di dormire, tuc tuc verso casa per una dormita prima dei 300 chilometri che ci attendono.
Road to Siem Reap

Finalmente lo possiamo dire, Road to Siem Reap!! Angkor Wat e altri bellissimi templi ci stanno aspettando, è dall’inizio del viaggio che ci lasciamo incantare dalle foto cercate sul web ma adesso ci stiamo dirigendo veramente lì. Ce ne andiamo con il dispiacere di non aver potuto visitare il Museo del genocidio, il quale è testimone delle barbarie compiute dal governo di Polt Polt e dai suoi Khmer rossi. La visita di un giorno ha obbligato a delle scelte, purtroppo.
Prima di lasciare la città dobbiamo riparare la scocca di ferro della moto di Cristian, si è spezzata durante l’arrivo nella capitale due giorni prima. Un fabbro ce la ripara nell’arco di mezz’ora e prendiamo la strada verso Siem Reap. L’inizio è molto bello e coinvolgente, facciamo il pieno di benzina e guidiamo in strade desertiche dal colore rosso acceso, larghe e che trasmettono sicurezza, ma nella prima metà del viaggio incontriamo 40 chilometri di strada totalmente dissestata. Ovviamente qui non siamo gli unici, essa è l’unica diretta verso Siem Reap e vediamo dondolare tra le varie buche anche tutti i bus pieni di turisti. Forse meglio in sella ad una moto e avere il pieno controllo del mezzo piuttosto che patire il mal di bus sapendo di andare nella tanto sognata meta. Ci fermiamo almeno un paio di volte per rifiatare prima di pranzo pensando di averle viste tutte sulle strade vietnamite, ma ora ci dobbiamo ricredere. Da varie fonti, websites e chiacchiere varie con altri viaggiatori, ho avuto modo di apprendere che le strade della Cambogia, ma specialmente del Laos, non saranno molto gentili; ma tempo al tempo e avremo modo di scoprirlo coi nostri occhi, buca dopo buca.
Giusto quando gli stomaci iniziano a borbottare, ci ritroviamo nell’unica città degna di nota della giornata, Krong Kampong Chhang. Qui parcheggiamo le moto vicino al mercato piuttosto vivo e scegliamo due bancarelle una di fianco all’altra. Nella prima mangiamo dei noodles, imito Cristian nell’aggiunta di vari ingredienti puntando il dito verso alcuni dei pochissimi vassoi presenti. Nella seconda bancarella prendiamo un caffè, cosa da non ripetere più in questo paese… Corro alla ricerca di un bagno e mi ritengo molto fortunato di trovarne uno in condizioni decenti. Caffè o no, già covavo qualcosa da qualche giorno, debolezza e mal di testa regnavano nel mio corpo già da Ho Chi Minh City.
Smaltito il mio malessere procediamo spediti per l’ultima parte del viaggio giornaliero, strade dritte e noiose ma almeno in ottimo stato ci separano dall’arrivo. Per cui ci dedichiamo ad alcune foto da poser e ci rilassiamo in sella alle nostre Honda, accovacciati o quasi sdraiati su di esse. A pochissima distanza dall’arrivo una delle rotelle dei nostri contachilometri fa l’ultimo scatto prima di una cifra tonda, segna 3000 e mi fermo sul ciglio della strada per una foto, Cristian invece si fa i selfie con una mucca.
Arriviamo nella zona prescelta delle guest house e al secondo colpo ne troviamo una eccezionale, 6$ da dividere in due con A/C e letto matrimoniale, piuttosto piccola ma tenuta bene e pulita. Facciamo una doccia e ci volatilizziamo in moto per ammirare Angkor Wat con le luci del tramonto, non facciamo il ticket-abbonamento per l’ingresso ma ci accontentiamo solamente di una breve gita per renderci conto di quello che visiteremo nei prossimi tre giorni, quantità di tempo che riteniamo più che sufficiente per un discreto giro della zona. Cena veloce al Night Market e il mio compare se la ride perché ordino un succo di carota, non sono ancora al massimo ed evito la classica birra serale.
Angkor: La Capitale degli Khmer
A parte la guest house, che ci sembra più che accettabile, decidiamo di non badare troppo a spese per il nostro soggiorno qui a Siem Reap. Sono troppi giorni che mangiamo quasi esclusivamente cibo di strada, inutile tentare di risparmiare in quanto questa cittadina è ultra competitiva e i negozi/ristoranti battagliano tra di loro per accaparrarsi più clienti possibili, tirando giù i prezzi.
Facciamo una nutrita colazione stile americana vicino alla guest house, dopo di che siamo pronti per andare verso la biglietteria a comprare i nostri 3 days tickets, al costo di 40$. È una spesa importante qui nel Sud-Est Asiatico, ma con questo importantissimo biglietto si ha la possibilità di entrare in tutti i diversi templi di questo sito enorme. All’ingresso di ognuno di essi vi è presente una o più guardie che controllano il possesso del ticket, ma per avventurarsi a zonzo tra di essi non è necessario. In ogni caso, pensandoci bene, ci rendiamo subito conto che il prezzo non è poi neanche così caro, in Italia si paga pressoché la stessa cifra per visitare gli Uffizi o i Musei Vaticani, ma solamente in giornata.
Angkor, che nella lingua madre significa “Capital City”, è stata la capitale dell’impero Khmer che durò dal 9° al 15° secolo d.c. Angkor sicuramente è stata una città ultra-popolata, nel periodo di massimo sviluppo ospitava città di gran lunga più popolose di quelle europee. Per affrontare un’escursione perfetta vi consiglio di affittare un tuc tuc giornaliero che vi porti di tempio in tempio rispettando i vostri tempi. Accordandovi ad inizio giornata sul prezzo da pagare poiché esso sarà sicuramente più basso rispetto a vari spostamenti con tuc tuc diversi. Coi miei occhi ho visto persone affittare le biciclette, nel caso non foste un minimo allenati ve lo sconsiglio: la tratta Siem Reap-Angkor conta almeno 8 chilometri solo andata, fate voi i dovuti calcoli aggiungendo il fattore “calore”. Inoltre vi consiglio di procurarvi una guida, il posto merita e comprenderlo appieno è necessario per dare un senso ai soldi spesi per arrivare fino a qui, fate un ulteriore sacrificio e non badate a spese. Non fate come noi, testardi made in Italy, che pur di risparmiare su qualsiasi cosa possa essere possibile risparmiare si sono accodati più volte a gruppi di spagnoli o americani/inglesi, rimediandoci più volte figuracce ma non facendoci più di tanto peso.
Il Tempio di Bayon
Entriamo come la sera precedente nel perimetro principale, lasciandoci il tempio di Angkor Wat alla nostra destra e pensando di riservarcelo per ultimo in modo da poterlo esplorare con molta calma. Tiriamo dritto e attraversiamo un gate con statue che rappresentano delle guardie a far da barriera ai lati, prima dell’ingresso vero e proprio. Una volta entrati dentro al complesso di Angkor Thom, che ospita vari templi all’interno, accompagnati da alcune scimmie parcheggiamo la moto di fronte al tempio di Bayon. Facciamo i numerosi scalini presenti per entrare nel mezzo della struttura e ci lasciamo avvolgere dalle 216 facce presenti. Questa è la quantità di volti raffigurati, ognuno di essi orientato in una delle 4 posizioni meridiane a simboleggiare il controllo sul territorio. È impressionante la maestosità e l’accuratezza con cui fu costruito, girovaghiamo quasi perplessi e sbigottiti per quasi un’ora provando ad ascoltare le guide di altri gruppi di turisti, ci scambiamo poche parole talmente siamo impegnati ad usufruire del grande dono del senso della vista. Ci ritroviamo per l’ennesima volta nel centro della struttura e incontriamo la famiglia spagnola conosciuta pochi giorni prima a Cu Chi Tunnels, scambio qualche parola con loro e successivamente decidiamo di uscire per andare a visitare altro, ma sicuramente ci ritorneremo per darci un’altra occhiata.
Il Complesso di Angkor Thom ospita numerosi siti, proseguiamo alla vicina terrazza degli elefanti che porta ad un tempio altissimo, e per visitarlo siamo invitati a coprirci siccome siamo vestiti con delle semplici canottiere. Per fortuna abbiamo i nostri k-way con noi, li indossiamo giusto all’ingresso per poi rimuoverli a debita distanza dai controllori. Fa un caldo torrido, io cammino con la lingua di fuori e perdo litri di sudore ad ogni passo o scalino che faccio. La vista dalla cima del tempio è mozzafiato, di fronte a noi la terrazza degli elefanti evidenzia il cammino da poco compiuto. Tornati alla moto girovaghiamo a caso e proviamo a perderci, ma è abbastanza semplice non perdere la retta via e decidiamo di pranzare in una delle grandi tendopoli per turisti. Contratto con successo la pietanza e per 4$ ho una bibita, lok lak e della frutta, Cristian invece non mangia. Proseguiamo visitando un altro tempio, successivamente incontriamo un gruppo di monaci buddisti e scambio alcune parole con loro in inglese e scattiamo una foto tutti assieme. Continuiamo la giornata ma concludendola piuttosto presto, ma senza non aver prima visitato alcuni altri edifici come Ta Prohm, famoso in tutto il mondo per aver ospitato il set di Tomb Raider che raccoglie dei piccoli templi intrecciati assieme a degli alberi cresciuti nel corso dei secoli; ma per fare una foto decente è impresa ardua, fiumi di turisti come noi si susseguono in una marcia lenta ma costante che quasi mai lasciano l’obiettivo libero alla macchina fotografica.
Torniamo a casa per un dovuto riposo e successivamente in zona Night Market troviamo un ristorantino economico in cui mangiare carne e verdure alla griglia a volontà.



Secondo Giorno ad Angkor
Iniziamo la giornata facendo colazione al Night Market, come il giorno prima facendola molto abbondante in stile americana, riempiendoci fino a scoppiare per avere energie utili da usare per la camminata e la sopportazione del caldo. Incominciamo visitando il tempio di Ta Keo, il giorno prima pensavamo fosse chiuso ma ripassando nella zona abbiamo visto alcuni turisti arrancare tra gli scalini. Visitiamo altri templi a casaccio, pranzo nello stesso posto del giorno prima, sempre contrattando sul prezzo, e poi via con Cristian che guida per 30 chilometri per raggiungere il lontano Phnom Kulen. Molto bello e particolare rispetto agli altri già visitati grazie alla raffinatezza dei mosaici con cui fu costruito, si narra che siano state delle donne a costruirlo con le loro mani più piccole e morbide rispetto a quelle di qualsiasi altro uomo, ma sinceramente la perdita di tempo tra l’andata e il ritorno non ne vale la pena. Rientriamo pericolosamente sotto una pioggia torrenziale e più volte urlo a Cristian di rallentare, finiamo la benzina ma a pochi metri un negozietto ci vende un litro sufficiente per raggiungere poi una vera pompa di benzina. Rincasiamo più zuppi che mai e siamo costretti a cenare alla guest house, non smetterà di diluviare fino a notte inoltrata.
L’Alba ad Angkor Wat
Al risveglio ci involiamo alle 6 del mattino per goderci Angkor Wat alle prime luci dell’alba, non siamo i soli e molte persone sono in attesa di godersi questo speciale evento. Poco dopo si ha la possibilità di entrare e facciamo un lungo giro attorno tutto il complesso. Costruito in 40 anni di lunghi lavori il simbolo della Cambogia ha avuto una storia particolare: eretta inizialmente per un’altra divinità venne, prima della conclusione dei lavori, convertito immediatamente in un tempio buddista. Orientato a ovest invece che a est al contrario della maggior parte delle altre costruzioni qui presenti, è circondato da un fossato utilizzato per raccogliere l’acqua piovana.
Cristian non lo lasciano entrare in una delle torrette principali poiché, con il suo costumino corto, sembra più nudo di una lavoratrice notturna. Faccio tutto il giretto da solo mentre lui aspetta indiavolato qualche metro più giù. Successivamente andiamo nel perimetro centrale e osserviamo vari piccoli eventi creati ad hoc per i turisti, lasciamo una piccola offerta e ci guadagniamo un braccialetto rosso portafortuna (che ho ancora dopo molti mesi). Continuiamo ad ammirare questa genialità in stile Khmer ma alla fine del lungo giretto mi convinco che Bayon è molto più bello e atipico. Torniamo a metà mattina a Siem Reap per la colazione, poi portiamo per la prima volta dei vestiti a lavare (da quasi un mese lavavamo tutto a mano aspettando che i vestiti si asciugassero durante la notte) e portiamo le moto a fare il cambio dell’olio. Anche questa volta dopo circa mille chilometri di duro lavoro l’olio è nero come la pece, la sua bassissima qualità aggiunta alla poca protezione del motore dalle intemperie ci obbligano a cambiarlo. Ma questo è un must nel Sud-Est Asiatico, il cambio olio motore non ha gli stessi tempi europei.
Nel pomeriggio torniamo per una seconda visita di Bayon e Angkor Wat, i due templi più maestosi di tutto il sito. Visitando nuovamente Bayon parliamo un poco con il bigliettaio lì presente, conversazioni che sfociano nel suo mestiere e sulle sue condizioni lavorative alquanto instabili. I controllori lavorano tutto il giorno ad intermittenza, un giorno sì ed uno no, portando a casa meno di 200$, condizioni veramente assurde per persone che hanno studiato turismo e che sanno parlare inglese abbastanza bene, considerando inoltre il prezzo dell’ingresso e la quantità di turisti che confluiscono qui viene da chiedersi: dove vanno a finire tutti questi soldi?
Uscendo da Angkor Wat incontriamo Federico, il ragazzo conosciuto a Bangkok, assieme a dei suoi amici italiani. Sembra impossibile incontrare qualcuno già conosciuto all’inizio di un viaggio, specialmente in un’area così vasta come questa, ma la casualità ha fatto sì che fosse possibile. Grandi abbracci e incredulità tra di noi e ci accordiamo per cenare e passare qualche ora assieme nella notte. Cena di nuovo a base di carne e verdure grigliate, il tutto condito da birre di cui perdiamo il conto, ci salutiamo con loro in attesa del bus notturno per Bangkok, noi invece per la partenza verso Pattaya passando il confine di Poi Pet. Si spera…
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