La redazione di Tuttovietnam ha inviato Eduardo Ferretti per un’intervista con l’Ambasciatore
Mario Sica, grande esperto di Việt Nam.

Mario Sica ha studiato a Firenze dove si è laureato in Scienze politiche nel 1959. Diplomatico dal 1962, ha prestato servizio tra l’altro a Saigon e Mosca. Inoltre, è stato ambasciatore a Windhoek, Mogadiscio e Vienna (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) e infine al Cairo. Si è a lungo occupato di emigrazione e di Asia. Sulle sue esperienze vietnamita e somala ha scritto: “Marigold non fiorì. Il contributo italiano alla pace in Vietnam” (Firenze, 1991) e “Operazione Somalia” (Venezia, 1994). In pensione dal 2004, continua a parlare e a scrivere di relazioni internazionali, e ha interamente rivisitato il contributo italiano alla pace nel conflitto vietnamita in un nuovo studio recente: L’Italia e la pace in Vietnam (Roma, 2013). Vive a Prata (Grosseto), in una casa costruita sulle mura del vecchio castello.

 

Dopo una lunga e interessante carriera diplomatica, Mario Sica ha deciso di trasferirsi a Prata, dove risiede dal 2004. Prata è uno dei borghi storici della Maremma, diventato più noto negli ultimi anni poiché ritenuto essere il Borgo della Pia di Dante, uno dei più famosi personaggim danteschi la cui morte è tuttora sotto certi aspetti un mistero. L’accoglienza è stata molto cordiale e l’Ambasciatore Mario Sica ha mostrato al nostro inviato la sua meravigliosa casa, una costruzione del seicento posta sulle mura dell’antico castello. Non da meno è stata l’accoglienza della gentilissima moglie vietnamita, che ha preparato per questa occasione vero tè Shan vietnamita.

Amb. Sica, Lei è ancora ritenuto uno dei massimi esperti di Việt Nam in Italia. Cosa accomuna questi due paesi?
Ritengo che l’Italia e gli italiani, per natura e cultura, siano per certi versi meglio equipaggiati di altri occidentali per comprendere un Paese come il Việt Nam. Le superfici dei due Paesi sono del tutto comparabili (sui 300.000 kmq), e solo recentemente la popolazione del Việt Nam ha nettamente superato quella dell’Italia. Sono due Paesi geograficamente allungati, aventi un Nord, un Centro e un Sud culturalmente e foneticamente ben individuati e immediatamente riconoscibili, ciascuna delle tre parti avente un proprio modo – magari ispirato a preconcetti o stereotipi – di guardare alle altre due parti. Anche la diarchia rappresentata dall’asse Hanoi – Ho Chi Minh City ricorda un po’ il rapporto tra le nostre Milano e Roma. C’è poi la “civiltà del riso”, che almeno l’Italia settentrionale condivide col Việt Nam, tradizionalmente esportatore di riso. E c’è il fatto che ambedue i Paesi hanno realizzato solo in ritardo, rispetto ai vicini, e sia pure per vicende storiche diversissime, la loro unità nazionale (nel 1802 il Việt Nam, con un’interruzione successiva di oltre un secolo causata dall’intervento esterno colonialista e dalla guerra fredda; nel 1861 l’Italia, con la breve parentesi della seconda guerra mondiale). E infine si tratta di due Paesi straordinariamente abituati, a causa delle loro vicende storiche (Việt Nam e Italia) e grazie all’imponente traffico turistico (Italia), ai contatti con lo straniero, ed anche straordinariamente capaci di assumere da tali contatti una serie di elementi positivi da rielaborare, assimilare ed integrare, quali apporti di arricchimento, nella propria cultura.Il Việt Nam rimane un Paese culturalmente vivace, con una interessante tradizione che ha risentito di numerose influenze tra cui quella cinese al Nord e quella cham e cambogiana al Sud che si sono storicamente incontrate ed hanno interagito con quelle autoctone. Non di meno la dominazione francese ha lasciato numerose tracce, soprattutto nella letteratura, che a sua volta è stata influenzata dalla cultura vietnamita.  Vorrei ricordare il ruolo dei missionari nella “romanizzazione” della lingua vietnamita, operazione che fu il risultato di un lavoro di gruppo di tre gesuiti, il padre Alexandre de Rhodes, grande sinologo e lessicografo, il padre portoghese De Pina (1585-1625) e il torinese padre Cristoforo Borri (1583-1632). Questi tre religiosi trascrissero in caratteri latini il vietnamita essenzialmente per uno scopo missionario e pastorale, cioè per insegnare più facilmente il vietnamita ai missionari e rendere più agevole l’annuncio del Vangelo ai vietnamiti. Ma la cosa eccezionale fu che questa scrittura, rimasta per circa due secoli e mezzo all’interno della piccola comunità cattolica vietnamita, fu adottata alla fine del XIX secolo – per un complesso di motivi – dalla società civile vietnamita, ed è fino ad oggi rimasta immutata, essendo solo stato enormemente sviluppato, com’è naturale, il vocabolario. I vietnamiti chiamano questa scrittura quóc ngữ, cioè “lingua nazionale”. Non si tratta di una nuova lingua, naturalmente, ma solo di una nuova grafia della lingua esistente. Ma che questa grafia, sviluppata da una minoranza religiosa, venga oggi chiamata “lingua nazionale” la dice lunga sia sul ruolo della Chiesa Cattolica in Việt Nam, sia e soprattutto sull’apertura di spirito dei vietnamiti.

Infine bisogna ricordare anche lo sforzo di Nguyễn Thệ Anh, che con il suo dizionario latino-annamita, raggruppò termini vietnamiti tradotti in portoghese e in latino.

Quindi abbiamo scoperto un legame che accomuna ancora di più questi due paesi. Com’è strutturata la lingua vietnamita?

Il Quốc Ngữ è il moderno sistema di scrittura della lingua vietnamita, ed è basato sulla scrittura latina, con nove segni diacritici: 4 di essi per creare suoni aggiuntivi e altri 5 per indicare i toni di ogni parola (in vietnamita, i toni sono sei, ma uno di essi non comporta segni diacritici). Molti di questi segni, spesso due sulla stessa lettera, rendono facilmente riconoscibile la scrittura vietnamita. Bisogna precisare che una parte del lessico vietnamita, soprattutto nella lingua non parlata (letteraria, scientifica ecc.) è costituito da prestiti linguistici dalla lingua cinese, che originariamente usava lo stesso sistema di scrittura, anche se in formato modificato per adattarne la pronuncia. Il vietnamita è stato anche moderatamente influenzato dalla lingua francese sul piano lessicale.

Tradizionalmente il vietnamita è diviso in tre aree dialettali principali:

  • vietnamita settentrionale, che comprende le zone di Hà Ni, Hi Phòng e altre;

  • vietnamita centrale, le cui aree principali sono Huế e Ɖà Nãng;

  • vietnamita meridionale (Città H Chí Minh e delta del Mekong).

Il Việt Nam è diventato nella classifiche ONU un middle income country, quindi c’è un minor bisogno di una cooperazione puramente assistenziale come nel passato. Quale sarà il futuro della cooperazione italiana in Việt Nam?

La cooperazione allo sviluppo italiana è presente in Việt Nam dal 1990, data della firma del primo Accordo Tecnico Finanziario di Cooperazione tra i due Paesi. Negli anni da allora trascorsi, il Việt Nam ha compiuto dei notevoli passi in avanti, raggiungendo il grado di Paese di Medio Reddito (MIC) e mostrando una buona efficacia nella realizzazione degli Obiettivi del Millennio. Tra i traguardi più importanti bisogna ricordare che il Việt Nam ha ridotto la propria soglia di povertà dal 58% al 12% ed ha portato il livello di alfabetizzazione al 90%. Tuttavia, esso deve ora affrontare la sfida di rendere la sua crescita stabile, egualitaria e sostenibile, soprattutto a fronte delle problematiche legate alla recessione economica globale, e di gestire le emergenze ambientali connesse allo sfruttamento non sostenibile delle risorse ed al cambiamento climatico. In più, tra i vari dati macroeconomici a disposizione, il coefficiente di Gini, indice delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e delle ricchezze di un paese, rivela un’altra somiglianza strutturale (in questo caso, negativa) con l’Italia, poiché esiste una forbice eccessiva tra Nord e Sud.

Oggi l’Italia sostiene il Việt Nam in queste nuove sfide ed è attiva nel Paese con un programma di cooperazione composto da 16 iniziative in corso, per un ammontare complessivo di circa 72 milioni di Euro. Questi interventi possono essere suddivisi percentualmente in: 85% di cooperazione bilaterale, un 10% di interventi bi-multilaterali (apporti italiani ai programmi dell’UE e delle agenzie dell’ONU), e per il rimanente 5% di interventi tramite ONG.

Oltre agli aspetti tecnici, quali possono essere i consigli che può dare un Paese come l’Italia?

Durante le trattative per l’ingresso del Việt Nam nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), l’Italia si è occupata di assisterlo in numerosi campi. Ieri come oggi, si è preoccupata di mettere il Việt Nam in guardia su alcuni aspetti che riguardano sia la riduzione delle disuguaglianze che uno sviluppo più equilibrato e egualitario legato alle PMI che riduca il divario tra campagna e città. Esiste anche una grande necessità di migliorare le comunicazioni tra Nord e Sud e le strade che collegano il Việt Nam alla Cina. Inoltre, sarebbe anche opportuno sviluppare un intervento più ampio delle ONG, in particolare per il miglioramento delle reti fognarie e delle strutture sanitarie. Ad oggi solamente poche ONG italiane, come CESVI o GVC, hanno una presenza in Việt Nam.

Ci sono altri aspetti che riguardano lo sviluppo economico che possono essere incentivati? Mi riferisco a uno sviluppo più incentrato sul turismo sostenibile.

Certamente, dato che il Việt Nam costituisce una delle più ambite mete del Terzo Millennio per i viaggiatori italiani ed europei, e al contempo uno dei luoghi più sicuri per i turisti. Fra i luoghi e complessi architettonici del Việt Nam dichiarati Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, si contano: la Baia di Hạ Long, la Città imperiale di Thăng Long (l’antica Cittadella) nel centro di Hanoi, le città di Huế (antica capitale) e Hội An, il sito di Mỹ Sơn. Quest’ultimo è il sito archeologico più suggestivo del Việt Nam, testimonianza della più antica etnia del Paese: i Cham. Nella magica atmosfera di una vallata solitaria, immerse nel verde della foresta tropicale sorgono infatti una dozzina di torri Cham, delle circa 80 originariamente censite. Questo sito archeologico costituisce il luogo del Sudest Asiatico che rimase abitato più a lungo per motivi religiosi: il Regno Cham vi si insediò infatti dal IV° fino al XV° sec., e Mỹ Sơn fu il suo più importante centro spirituale e religioso. Le distruzioni della guerra americana hanno causato altre gravi perdite. La cooperazione italiana, tramite la Fondazione Lerici di Milano, si sforza, insieme agli archeologi vietnamiti, di ricostruire alcune torri: è un gesto importante sul piano politico, per tentare di riparare almeno i danni bellici più gravi, e sul piano pratico, per incoraggiare il turismo.

Quest’ultima domanda che le farò riguarda l’Associazione Nazionale Italia-Vit Nam. Esiste da parte delle altre Associazioni d’amicizia europee con il Vit Nam la volontà di lanciare una campagna di sensibilizzazione sull’Agente Arancio. Ad oggi questo può ancora avere un senso?

Ritengo che sia tuttora indispensabile informare, sensibilizzare ed educare l’opinione pubblica, a partire dalle giovani generazioni, le quali devono diventare uno strumento di promozione di una nuova era e di una nuova società globale in cui siano rispettati i diritti umani. Una campagna sull’Agente Arancio assumerebbe un significato importante per noi anche più che per il Việt Nam, poiché dobbiamo insegnare ai giovani a ricordare cosa sono e che cosa sono state le guerre chimiche. Vorrei sottolineare che ad onta dei guasti gravissimi causati dall’Agente Arancio e in genere dalla guerra americana, non c’è un sentimento anti-americano in Việt Nam: mi sono stati narrati episodi in cui gruppi di ex-combattenti americani e vietnamiti ricordavano quello che era successo durante la guerra senza accuse reciproche. Con questo non voglio dire che il Việt Nam abbia dimenticato, ma che c’è molta voglia di guardare avanti, nonostante ancora oggi le ferite non si siano ancora del tutto rimarginate.

A cura di Eduardo Ferretti.

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